Stefano Mancuso VERDE BRILLANTE (2013)
Stefano Mancuso e Alessandra Viola
VERDE BRILLANTE (2013)
L'onestà attribuita al lupino, che segnala con una modifica dei colori dei propri petali i fiori già visitati dagli insetti, tingendoli di blu, dovrebbe essere bilanciata dalla possibilità dello stesso fiore di poter mentire. La disonestà della Orphyrs apifera, un'orchidea i cui fiori imitano, e non «sono in grado di imitare», la femmina di alcuni imenettori non sociali per attrarli, dovrebbe essere controbilanciata dalla possibilità del fiore di assumere altre forme. Fuori da questo, accostare principi morali ad un fiore che non può altro che essere sé stesso è solo poesia. Una bella poesia. E lei un fiore che attende di essere impollinato.
Mancuso è un entusiasta, ovvero vive un mondo ideale da lui stesso creato. Definisce la comunicazione come «un messaggio, qualcuno che lo trasmette e qualcuno che lo riceve», una definizione molto ingenua venendo a mancare l'elemento interpretativo senza il quale è grottesco parlare di comunicazione. Non sappiamo se quello che i botanici chiamano nictinastia, la capacità di alcune piante di cambiare posizione delle loro foglie fra giorno e notte, sia dovuta a un meritato pisolino di arbusti e ramoscelli ma ne discorriamo confusamente; usiamo impropriamente i termini per indicare i cinque sensi umani e li applichiamolo alle piante, udito incluso, ma subito dopo alziamo le mani e diciamo che in realtà non sentono i suoni, ne avvertono solo le vibrazioni, e ciò nonostante alziamo l'asticella delle aspettative gettando a mo' di esempio un unico caso di una vinicoltura cresciuta migliormente irradiata da musica e sul perché ci arrendiamo con un interrogativo «A cosa serve che le radici percepiscono le vibrazioni? Non lo sappiamo». Una delle svariate rese in poco più di cento pagine, immagini incluse. Un misconosciuto testo del 1509, Liber sapienza di Charles de Boveless, e un disegnino ivi incluso, è presentato quale causa della incomprensione fra noi umani e il mondo delle piante. Lì le piante, in un'immaginaria piramide della vita, sono rappresentate vicino le rocce. Ecco perché crediamo esse siano più prossime all'inerzia del regno minerale che altro.
Al netto delle imprecisioni e delle metafore usate goffamente e in modo spropositato, poco tollerabili in un volume che si presenta come divulgazione scientifica almeno se fossero state poesie sarebbero state più simpatiche, il libro parte da una precisa intuizione tratta da una puntata della nota serie televisiva di fantascienza Star Trek in cui degli alieni, che vivono in un mondo che a confronto del nostro va a mille all’ora, ci scambiano per inerti finendo per sanguisugarci. L’idea è gagliarda: le piante sembrano immobili solo e soltanto perché lo fanno in tempi troppo dilatati rispetto a quelli umani, e invece hanno una vita movimentata, forse se riprendessimo l’intera vita di fiore per poi guardarla accelerata scopriremo che fra le varie balla anche la samba. Le piante «sono alla base della catena alimentare», no piante no party, ci estingheremmo tutti senza piante, loro (oltre il 99% degli esseri presenti sulla Terra, a dire di Mancuso) meriterebbero, e non a torto, di essere rivalutate, in primis dall’accademia che le tiene «in secondo piano». Quello delle piante è mondo foriero di incomprensioni, all’occhio umano, vuoi perché non ne cogliamo i movimenti «intelligenti» vuoi perché le piante sono un organismo modulare, in un certo senso distribuito (le piante ricrescono se falciate anche semplicemente come strategia evolutiva, non potendo scappare dalla fame dei ruminanti). Ottime intuizioni. Ottimo punto di vista.
Tolti alcuni paragrafi di cui non si sente proprio il bisogno, come Ogni pianta è una rete Internet vivente, dove Mancuso è indaffarato a mostrare di non avere la minima idea di come funzioni la rete e i protocolli che le permettono di essere usata; o buona parte de Le piante e le grandi religioni monoteiste dove non si sente alcun il bisogno di iniziare dalla Genesi, e sopratutto la stanca Conclusioni, l'intero capitolo, verosimilmente frutto di un cut-up dei capitoli precedenti e che nulla aggiunge, questo libro di Mancuso è una buona lettura con cui deliziarsi durante un viaggio in treno, non molto di più. Peccato, le premesse promettevano una rivoluzione epocale.
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