Alfonso Iacono, Aldo Gargani MONDI INTERMEDI E COMPLESSITÀ (2005)


Alfonso Iacono, Aldo Gargani
MONDI INTERMEDI E COMPLESSITÀ (2005)

Arriverà un giorno in cui la metafora del farci un’immagine mentale della realtà sarà, se non considerata obsoleta almeno ridimensionata o collocata solo a specifici ambiti. Dico questo perché da quella metafora si passa, per costrizione quasi, a dover dire che esiste una copia del Mondo nella testa di ognuno, e in ogni mente questa copia è in qualche da qualche lembo corrotta. Mimesis, parola greca, non distingue la sfumatura fra simulazione, quindi inganno, e rappresentazione, quindi senza la pretesa di confondersi
(E Aristotele pare prediligere questa seconda eccezione). La mimesis sembra oscillare in uno spazio «fra idolatria e iconoclastia», anche se tra l’inganno e la mancata pretesa di confondersi, intercorre la distinzione fra una copia che «implica una differenza nella somiglianza» e il sostituto come può essere «la ruota, per esempio, un sostituto della gamba, ma che di sicuro non somiglia ad essa». Il problema della differenza semmai è sollevato in una società fondata sulla riproducibilità tecnica, ma non è questo il tema che affronta il saggio che invece gravita attorno all’assunto che il doppio, è il modo, l’unico modo che abbiamo, per conoscere la realtà. O per usarla. «Per Klee quanto per Winnicott non è questione di fantasia contrapposta alla realtà, è questione del punto di vista attraverso cui viene conosciuta la realtà». Paul Klee è stato uno strepitoso pittore tedesco, capace di pronunciare circa il suo operato frasi lucide come un haiku «il pittore non deve riprodurre il visibile, deve rendere visibile»; Donald Winnicott invece  è uno dei più noti pediatri dei nostri tempi, cui maggiore contributo è la teoria transizionale e quella dei giochi, secondo cui «il gioco “si trova nel terreno comune tra bambino e madre, in un contesto dove unione e separazione tra bambino e madre coesistono». In questo senso il bambino gioca da solo, ma accanto alla madre o quantomeno ad una distanza tale per cui dopotutto non possa sentirsi troppo solo, il suo emulare la realtà «in quanto mimes può essere considerato un’illusione ma non un inganno». Come meglio spiegato dallo stesso Winnicott «a proposito dell’illusione e della sua condizione cognitiva “incapacità e la crescente capacità del bambino di riconoscere e accettare la realtà”», nel gioco invece il bambino è conscio della finzione.
“Sostanza dell’illusione  quella che viene concessa al bambino - continua il pediatra inglese - e che, nella vita adulta, è parte intrinseca dell’arte e della religione, e che tuttavia diventa il marchio della follia allorché un adulto pone un eccesso di richieste alla credulità degli altri costringendoli a condividere un’illusione che non è quella loro”», anche l’antropologo Gregory Bateson «tende a interpretare il gioco come mimesi» mentre
secondo Iacono tutti gli uomini, gli adulti non gli infanti, sono «immersi in un universo di significato fatto di illusioni condivise … Ciascuno non è una monade… A eccezione forse del sogno, ogni mondo costruisce la sua autonomia».  Per lo psicologo americano William James “il senso che qualcosa a cui pensiamo sia irreale può darsi soltanto quando quella cosa sia contratta da qualche altra, a cui pensiamo” ovvero se due oggetti mentali non si contraddicono allora essi formano la realtà. Ma allora, che razza di realtà viviamo? Iacono propone la teoria delle code dell’occhio dato che  «La credenza in una realtà assoluta è la condizione estrema dei prigionieri incatenati della caverna di Platone» mentre «Normalmente noi viviamo in mondi intermedi. Quando ci immergiamo in un universo di significato non abbandoniamo gli altri universi: è come se li percepissimo con la coda dell’occhio, poco al di là della cornice».
Alfred Schütz, filosofo e sociologo austriaco «propone di uscire dal contesto psicologico “chiamiamo provincia finita di senso un certo insieme di nostre esperienze se queste esibiscono tutte un peculiare stile cognitivo … che hanno uno specifico accento di realtà”» di cui l’archetipo è la nostra vita quotidiana che ruota attorno al mondo del lavoro «tutte le altre province di senso possono essere considerato come sue modificazioni», province in cui a differenza di quanto postulato dal dottor Alfred, ci muoviamo senza alcuno shock fatto salvo forse per il mondo del sogno.
«Una teoria della coda dell’occhio presuppone la duplicità» si conosce sempre qualcosa perché si sa che esiste un suo contrario e  solo «dove non c’è possibilità di controllo del coinvolgimento nell’illusione, ci si avvicina all’inganno oppure al delirio e alla follia … A differenza dei prigionieri della caverna di Platone, gli spettatori, abbandonandosi alla finzione del teatro, entrano dentro una caverna ...Ci spinge a guardare con altri occhi». L’illusione, il doppio a cui ci accompagna, è quindi un modo per poter padroneggiare il reale, un reale che impariamo a padroneggiare solo attraverso un processo di mimesis e gioco, per dirla ancora usando Winnicott «I fenomeni transizionali costituiscono la fase di apprendimento del bambino all’uso dell’illusione ed è fondamentale perché lo aiuta a mediare fra il suo primordiale senso soggettivo di onnipotenza e la prova della realtà oggettiva … L’apprendimento è tale se si sviluppa in ciò che si potrebbe chiamare pratica dell’illusione». Unica eccezione: il sogno. Dove non siamo. “Il sognare - in quanto distinto dall’immaginare - è essenzialmente solitario. Noi non possiamo sognare insieme, e l’alter ego resta sempre un oggetto dei miei sogni, incapace di condividerli con me” (Schutz) fa da specchio al motto di Eraclito “Unico e comune è il mondo per coloro che sono desti”.

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Nel saggio di Gargani invece «La duplicità che è qui a tema non deve essere confusa con la dualità, con il numero due, con il separare o dividere in due parti, ma viene a designare l’atto o la condizione di elementi che si coinvolgono reciprocamente e che determinano il loro significato unicamente nel tessuto articolato del loro coinvolgimento relazionale» … un’unità o totalità indivisa genera due parti, una indivisa e una divisa, ciascuna delle quali a sua volta replica il medesimo procedimento, delineando l’alberto matematico di L. E. J. Brouwer». «Robert Musil ha scritto che la fine del primato antropocentrico iniziata con Copernico è culminata nell’epoca nostra con la dissoluzione dell’io» che studiato, privato dal suo dogma di unità «non designa alcuna identità sostanziale e ottiene un significato solo all’interno del contesto proposizionale che fornisce una descrizione declinata intersoggettivamente». «Per conseguenza i termini singolari, irrelati, diventano non unità minime di significato secondo la semantica tradizionale della building blocks theory di Davidson, ma diventano strumenti per compiere mosse nel gioco di linguaggio, per realizzare cioè quella combinatoria di proposizioni che possiamo capire senza averle mai sentite prima», l’io prende forma nel linguaggio «L’identità rigida del soggetto umano si è tradizionalmente puntellata sull’identificazione oggettiva delle sue raffigurazioni e rappresentazioni, originando non già il problema della loro criticità, ma quello della loro adeguatezza, quello delle rappresentazioni accurate» e si aspande attraverso la metafora, che viene descritta come «un allontanamento, uno spostamento, alla fine un estraniarsi che porta verso un luogo critico. Nei termini della teoria neurofisiologica di Gerald Edelman il modello cinestetico origine-percorso-obiettivo costituisce la matrice della figura metaforica». Ecco quindi che «Nel modello semantico oggetto-designazione è racchiusa l’intera pervasiva mitologia mentalistica di un soggetto umano coeso, indiviso … Le contraddizioni, le anomalie, le incoerenze prima ancora di essere formalizzate traggono origine da un’inferenza contenutiva che emerge da quello che si potrebbe definire un effetto di attrito. Diciamo che l’evento critico che sovverte uno scenario scientifico e culturale non è originato dalla semplice presenza di un’anomalia formale», servono molti attriti prima che cambi un paradigma. Il filosofo-logico statunitense W.O. Quine scrisse nel 1966, con lodevole semplicità : “Il nostro accettare un’ontologia è simile in linea di principio al nostro accettare una teoria scientifica; ad esempio, un sistema fisico: in entrambi i casi si adotta, perlomeno se si è ragionevoli, lo schema concettuale più semplice in cui si possano adattare e ordinare i frammenti sparsi della nostra esperienza immediata”. Quindi «La metafora viva è la condizione linguistica attraverso la quale noi riusciamo a realizzare e oggettivare la condizione dello stupore … una tipica trasgressione di codice ed è l’espressione di questa sorpresa con la quale noi leghiamo fra loro termini che fino a quel momento non erano stati mai collegati» mentre il lapsus  usa «una parola che appartiene al nostro linguaggio quotidiano ma che nella sua emissione fa  segno ad un codice segreto». Donald Davidson, uno dei maggiori esponenti della filosofia analitica, propone di convertire «la nozione di verità in quella di traduzione. Generalizzando ai linguaggi naturali la convenzione di Tarski originariamente introdotta per i linguaggi formalizzati, Davidosn assume che il nostro linguaggio ordinario costituisce il sistema di riferimento per determinare la nozione di vero». Un altro filosofo americano, W. Sellars, scrive nel 1963 “il punto essenziale è che nel caratterizare un episodio o uno stato come quello del conoscere, noi non stiamo dando una descrizione empirica di quell’episodio o stato; ma lo stiamo collocando nello spazio delle ragioni”. «Il pragmatismo razionalistico, scrive Brandom “cerca di spiegare il contenuto mediante l’atto, anziché il contrario” … Ecco la duplicità. Rendere esplicito significa in altri termini trasformare qualcosa che facciamo in qualcosa che possiamo dire. È stata questa l’intuizione della bambina alla quale i genitori raccomandavano di pensare prima di parlare, ai quali lei risponde in un momento di grazia “come faccio a sapere quello che penso se non vedo quello che ho detto?” (Weick, 1997)». «Cora Diamond osserva che per effetto del modello oggetto-designazione … la funzione del discorso etico, estetico e scientifico consiste nel classificare eventi» e Wittgenstein, in uno scritto postumo del 1956 lascia scritto “Deve essere così non significa che sarà così. Al contrario; ‘sarà così’ sceglie una possibilità tra altre possibilità. ‘Deve essere così’ vede solo una possibilità”. Ecco quindi la complessità di cui accenna Gargani: «Il linguaggio non dice come è la realtà in se stessa... ma prospetta la modalità alternative possibili secondo cui parlarne».

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